Gli occhi sono vivaci, lo sguardo fermo, mentre le mani si intrecciano tra loro con una calma quasi zen. Da vicino Filippo Magnini non tradisce alcuna emozione: incarna tutta la sua grandezza in un solo, semplice, accenno di sorriso. Trentasette anni e ancora un’energia irrefrenabile, vorticosa.
La sua icona è già consacrata da tempo, da quelle medaglie d’oro nei 100 stile libero che gli sono valse non solo il titolo di campione del mondo, ma anche l’appellativo di Re Magno. E adesso, anche per il capitano più amato dagli italiani, è il momento di diventare grande. Con il suo metro e ottantasette di altezza e le innumerevoli medaglie all’attivo, fra cui i due ori leggendari ai mondiali di Montreal e di Melbourne, si prepara ad una nuova fase, quella di guida per i giovani ragazzi che si approcciano a questo sport. E ripensando al suo ruolo di capitano della nazionale italiana di nuoto non ha alcun dubbio: «Penso di essere stato un buon capitano, riuscendo a far comprendere ai ragazzi più giovani come doveva comportarsi un atleta dando per primo l’esempio».
Una carriera lunghissima la sua. Come si raggiungono e mantengono determinati livelli?
«Per raggiungere determinati livelli devi essere un professionista a 360 gradi. A 20 anni viene tutto più facile, basta avere talento e raggiungi i traguardi facilmente. Ma con l’avanzare dell’età cambiano i recuperi, cambia il tipo di forza, c’è tutta quella fatica mentale e fisica accumulata negli anni e non devi e non puoi lasciare nulla al caso. Devi seguire una sana e corretta alimentazione con i riposi giusti. Io sono stato meticoloso in tutto, ho cercato di perfezionarmi e migliorare ogni aspetto della mia vita, non solo quella sportiva, e penso di essere riuscito a mantenermi bene tant’è che ho portato avanti la mia carriera fino a 35 anni, un’età molto avanzata per un nuotatore. Sono riuscito a qualificarmi per un mondiale, a fare delle finali, arrivando a vincere medaglie dei campionati mondiali. Niente male per un trentacinquenne!»
Mi racconta come è nato l’appellativo di Re Magno?
«Questo soprannome che ancor oggi mi diverte è nato da un piccolo siparietto. Quando ho vinto gli Europei nel 2006, i miei amici mi hanno portato una corona con il mantello e lo scettro per festeggiare. E da lì, i miei compagni di classe della quinta D, venuti a vedermi in gara a Budapest, hanno cominciato a chiamarmi Re Magno. Ricordo anche che, a quei tempi, quel soprannome ha dato fastidio a qualche mio avversario. Per me invece è stata una cosa molto simpatica.»
Lei è stato per lungo tempo il capitano della nazionale azzurra di nuoto. Che caratteristiche e qualità deve avere un capitano?
«Sono stato capitano per otto anni e probabilmente credo di essere il capitano più longevo nella storia del nuoto e forse anche nella storia di tanti altri sport. Di sicuro ci vuole tanto carisma: devi fare rispettare le regole e devi farti rispettare, devi tenere tutti “sotto controllo” ma senza prevaricare nessuno. Penso di essere stato un buon capitano, capace di far comprendere ai ragazzi più giovani come doveva comportarsi un atleta dando loro l’esempio. E loro mi hanno seguito. Non solo ho apprezzato molto questa cosa, ma soprattutto mi sono sentito gratificato. Tant’è che ho un bel ricordo di loro e loro di me.»
Quando ha capito che il nuoto sarebbe stato il tuo futuro?
«Da ragazzino ho sempre amato lo sport e volevo fortemente diventare un nuotatore. Allora ho messo tutte le mie energie in questo sport e in questo sogno e, grazie alla mia bravura e a quel pizzico di fortuna che non guasta, sono riuscito a realizzare i miei sogni.»
Lo scorso luglio ha salvato un turista che stava annegando in Sardegna. Come si è sentito?
«Ho sempre preferito non parlare troppo di questo avvenimento perché penso che certe cose si fanno senza quel bisogno di vantarsi o di parlarne troppo. Sono contento di essermi trovato lì in quel momento e per fortuna è andato ed è finito tutto bene. E non posso che essere felice.»
Tra oro e bronzo ha vinto davvero tante medaglie. Ce n’è una a cui è più legato?
«Ogni medaglia ha una sua storia. Sicuramente di primo acchito direi quella conquistata nel 2005 quando ho vinto l’oro al mondiale perché ha significato il mio più grande cambiamento di carriera. Da quel momento sono diventato campione del mondo. Però c’è da dire che dietro ogni medaglia, anche quella vinta da bambino o l’ultima vinta da adulto, c’è racchiusa una storia, un’emozione e un momento indelebile della tua vita. Per cui posso affermare con certezza di essere legato ad ogni mia singola medaglia.»
© Intervista pubblicata su Gioco Pulito (Settembre 2019)