«C’è stato un momento della mia vita in cui ho cominciato a pensare di diventare completamente donna. Poi ho capito che così facendo avrei umiliato la mia parte femminile e avrei tolto un segno caratteristico della mia personalità, della mia vita, della mia carne».
Si racconta così Eva Robin’s, all’anagrafe Roberto Maurizio Coatti, per anni oggetto del desiderio e simbolo di trasgressione.
Lei è proprio come dicono: ironica, raffinata, diretta. Balzata alle cronache negli anni ’90 per la sua sessualità ambivalente, che l’ha aiutata ma al tempo stesso penalizzata, si è ritrovata a dover gestire una popolarità improvvisa che ha sempre considerato solo «un gran malinteso», dice «perché il successo fatuo dovuto ai flash, ai fan, non mi è mai interessato».
Da qui la svolta verso il teatro, un universo più intimo e introspettivo dove esce la vera Eva, una donna forte, passionale, capace di mettersi in gioco e di stupire non più per la sua sessualità ma per le sue interpretazioni. Oggi, «sopravvissuta alla popolarità», come dice lei, con accanto il suo gatto e una vita artisticamente poliedrica alle spalle, tosta come un uomo e fragile come una donna, Eva si racconta.
All’anagrafe lei è Roberto Maurizio Coatti. Si ricorda quando ha capito che da Roberto stava diventando Eva?
«Stavo facendo una bellissima vacanza a Riccione ed ebbi l’idea di farmi dei colpi di sole. Ero ancora un ragazzino, molto piccolo e minuto. Al mio ritorno a Bologna cominciarono a rivolgersi a me al femminile. E questo solo per dei colpi di sole! Lì ho capito e posso dirle che non c’è mai stata la scissione ma solo e sempre la fusione perché le due parti non sono mai entrate in contrasto anzi, dovevo un attimino temere a bada più la mia parte femminile. Ho sempre convissuto molto bene con le trasformazioni».
Alla fine Eva è l’idea che lei ha sognato di se stessa?
«Diciamo che sono andata per tentativi. Mi sono ritrovata questa creatura per le mani e devo dire che mi piace. Certo, Eva va dominata dal mio essere maschile perché altrimenti si rivela troppo frivola e vanitosa. ».
Si considera un’icona gay?
«Mi sento molto bene con me stessa, al di là di come mi vedono gli altri. Questo significa che ho costruito bene la mia personalità. Ho lavorato per avere una popolarità che mi calza, anche se devo dire che il momento più terribile della mia esistenza è stato quando avevo più visibilità. In quel momento ho capito che è meglio essere anche un po’ invisibili. Per questo ho scelto la carriera teatrale, che è parallela a quella televisiva, ma meno visibile ai mass media. E’ forse più di élite perché ti segue chi lo vuole davvero e non chi ti subisce attraverso la Tv».
Citando Eduardo De Filippo: “Il teatro non è altro che il disperato sforzo dell’uomo di dare un senso alla vita”. E’ così anche per lei?
«Il teatro riesce a farmi evadere dalla normalità del quotidiano. Trasforma tutto ciò che è modesto e grigio in qualcosa di meraviglioso. Creare un personaggio, rivestirlo con costumi e farlo proprio. E in questo mi ritengo fortunata perché sono sempre abbastanza libera nelle scelte».
Tornando indietro rifarebbe le stesse scelte lavorative?
«Avrei voluto studiare e approfondire l’inglese. Ricordo che mentre stavo facendo delle bellissime vacanze studio negli Usa, mi chiamò Gianni Boncompagni offrendomi la trasmissione Primadonna. Fu un totale disastro. Abbandonai il programma e divenni popolarissima, ma di una popolarità molto fastidiosa, ingombrante. Ecco, quella era una cosa che potevo valutare meglio. Ma gli errori a volte servono. Forse più dei facili successi».
E’ stato difficile per lei vivere quella popolarità improvvisa?
«Mi piace dire che sono sopravvissuta alla popolarità. A me interessa il successo inteso come crescita personale, come capacità di superare gli ostacoli esistenziali. Il successo dovuto ai flash dei fotografi non mi interessa».
Ricorda qual è stato il momento più brutto di questa popolarità?
«Subito dopo Boncompagni. Avevo 33 anni ed ero impreparata a questa grande visibilità, a questo esporsi in maniera così indiscriminata. La gente si rivolgeva a me addirittura al maschile. Per strada mi fermavano dicendo: “Viva le tette col pisello”. Francamente mi sono trovata spiazzata».
Cos’è per lei l’amore?
«L’amore è perdere il centro di se stessi per dedicarsi a un altro. Ci concentriamo solo su una persona quando ce ne sono miliardi. L’amore è una sorta di ipnosi. Sono stata innamorata, l’ho vissuto e adesso vediamo cosa succederà. Ogni tanto rimango invischiata anche se faccio tanto la cinica. Adesso sono innamorata della vita».
Come vive oggi?
«Serenamente. Evito le discussioni, e devo dire che per il momento ce la sto facendo. Insomma, mi sto avviando alla conquista della vecchiaia».
A proposito della vecchiaia, quanto la spaventa invecchiare?
«Sono più spaventata all’idea di non ragionare più come ora, di dover dipendere da qualcuno perché il corpo non risponde».
Ha mai pensato di adottare un bambino?
«I neonati mi fanno una tenerezza! Ho trasferito il mio bisogno materno nel mio gatto che è delizioso. E’ come se fosse una figlia».
Chi è oggi Eva Robin’s?
«Un infante che cerca di conquistarsi l’età adulta.»
Angela Failla
© Intervista pubblicata su Visto n.50 – 15 dicembre 2016, pp. 50/51