‘Monster’: l’horror indonesiano è un viaggio cupo tra silenzi e colpi di ascia

Un viaggio cinematografico in un universo da incubo, un horror indonesiano in cui la giovane protagonista lotta con tutte le sue forze per riuscire a sopravvivere.

Quando un uomo con il coltello piccolo incontra una bambina con il coltello grande, l’uomo col coltello piccolo è un uomo morto. E questo è esattamente quello che accade in Monster, un thriller indonesiano, dal 16 maggio su Netflix.

Interpretato da Marsha Timothy, Alex Abbad, Anantya Kirana Sulthan Hamonangan, il film è il remake del thriller statunitense The Boy Behind the Door. Il regista Rako Prijanto ci offre un thriller di pura suspense che risuona con l’essenza dell’arte cinematografica. Un prodotto perfetto per coloro che nel cinema preferiscono l’aspetto visivo a quello teatrale.

Monster: La trama

Due giovani studenti, Alana (Anantya Kirana) e Rabin (Sulthan Hamonangan), stanno trascorrendo il pomeriggio nella sala giochi, tenendo un lecca-lecca in bocca. I due ignorano che nelle immediate vicinanze c’è un uomo con barba e berretto, dall’aria sospetta, che li osserva. Poco dopo, i due bambini vengono rapiti. Quello che segue è l’orribile calvario dei due ragazzini che cercano di fuggire da una casa pericolosa nel bosco, all’interno della quale sono stati compiuti crimini atroci. Mentre Rabin è incatenato al muro in una stanza al piano di sopra, Alana sfuggendo al suo rapitore (Alex Abbad), scopre la portata delle sue atrocità, in questo film horror che non è mai all’altezza delle sue premesse.

I punti deboli

Purtroppo Monster non riesce a centrare l’obiettivo. In appena 85 minuti vediamo i protagonisti emettere urla, grugniti e guardarsi accigliati, anche quando una normale comunicazione potrebbe fare la differenza tra la vita e la morte. Alcune scene appaiono troppo amatoriali e la sceneggiatura è fin troppo esagerata. La protagonista, una bambina di circa tredici anni, uccide, affetta, combatte, salta dalla finestra del secondo piano e rimane sempre illesa. Robe che nemmeno Lara Croft in Tomb Raider. Il risultato finale si rivela artificioso, non del tutto plausibile, esasperante e a tratti ridicolo. Cercando di fare qualcosa di innovativo, il regista, esattamente come uno dei protagonisti, inciampa e cade direttamente sulla sua stessa lama.

La particolarità: l’assenza di dialoghi

Il più grande punto di forza di Monster è l’assenza di dialoghi. Il regista sfida la narrazione convenzionale scegliendo di comunicare attraverso effetti sonori, montaggio e suspense. A spiegare ogni scena ci pensano l’azione e il sonoro. La mancanza di discorsi rende il film più forte, lasciando tutto nelle mani dei due piccoli protagonisti. Li osservi, li segui e fai il tifo per loro. Questo approccio non solo mette in mostra l’abilità registica di Rako Prijanto, ma evidenzia anche l’eccellenza tecnica del film. Le inquadrature scelte in maniera meticolosa rendono il film davvero avvincente. Il paesaggio uditivo del film, pieno di cigolii di porte, musica inquietante e forti contrasti sonori, aggiunge un ulteriore livello di tensione, rendendo il silenzio ancora più inquietante. Monster ha più le sfumature di un thriller, e verso il terzo atto assistiamo a un vero e proprio omaggio al film Shining.

Una scelta già vista

Questa affettazione stilistica scelta dal regista non è nuova nel mondo del cinema. Infatti, è stata utilizzata con efficacia più volte in passato, in particolare nel genere horror. A Quiet Place di John KrasinskiHush di Mike Flanagan, e, più recentemente, il thriller di Brian DuffieldNo One Will Save You, sono tutti riusciti a offrire emozioni palpabili utilizzando un minimo di dialoghi.

Il trailer ufficiale del film “Monster”

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