Dario Argento: Sarò felice finché ci sarà qualcuno da spaventare

A 40 anni dall’uscita del suo capolavoro, Suspiria, il re dell’horror all’italiana si racconta: dalle tentazioni suicide all’apice del successo a fine anni ’70, ai due giorni passati in carcere nel 1985

Gli occhi sono vivaci, lo sguardo fermo e pacifico mentre le mani si intrecciano tra loro con una calma quasi zen mentre risponde alle domande. Alza il capo e dice: «Avvertivo una specie di desiderio di sparire, non farmi più vedere, non farmi più sentire da nessuno. E’ una sensazione molto acuta». Racconta e si racconta. Dario Argento, è lontanissimo dalla strafottenza sanguinaria degli assassini che porta in scena nelle sue pellicole. Personalità assertiva, schivo a rispondere alle domande, quasi imbarazzato dagli applausi, ma non lasciatevi confondere dall’aspetto tranquillo perché il fe degli horror made in Italy è uno, nessuno e centomila. Regista, sceneggiatore, compositore e, di fatto, il più grande regista horror italiano. Una capacità fuori norma di condensare le paure di generazioni in film che regalano incubi.

I suoi assassini sono accomunati dall’aver avuto problemi in famiglia che, a detta sua, è all’origine di tutte le prigioni e le pulsioni che oggi noi adulti abbiamo. Che rapporto ha con la sua, di famiglia?

«Buono. Devo dire che, più che altro, mi rifaccio alle considerazioni di Freud. Ho una famiglia con cui sono sempre stato in buoni rapporti, anche se magari a volte un po’ freddi. Con mio padre Salvatore si fecero ottimi quando divenne anche mio produttore. Con mia figlia Asia ho avuto un rapporto molto stretto perché, sin da bambina, girava sul set. Per lei era un gioco che poi si è trasformato in un lavoro, tant’è che ha recitato in tanti miei film».

Dove nasce la sua capacità fuori norma di condensare nei suoi film le paure di generazioni, trasformandole in incubi?

«Penso di avere una dote che mi ha dato madre natura, ho la facoltà un po’ magica di riuscire a dialogare con la mia metà oscura. E quindi di riuscire a rigurgitare tutte le più grandi malvagità e a riversarle nei miei film».

Metà oscura che ha scoperto vedendo “Il fantasma dell’opera”, quando non aveva ancora dieci anni. Che cosa si innescò nel suo animo?

«Ho visto questo film in vacanza sulle Dolomiti, a Monguelfo, in compagnia di mio fratello, eravamo molto piccoli. C’era una rassegna di film all’aperto e, tra questi, c’era il “Fantasma dell’opera” nella versione a colori di Arthur Lubin, con Claude Rains. Mi piacque tantissimo, fu una specie di folgorazione. Fu in assoluto il primo film horror che vidi in vita mia. Più che spaventato rimasi impressionato. Fu allora che capii che avevo sbagliato tante cose nella vita in quanto non avevo ancora compreso che esisteva un lato oscuro fatto di stranezze e di perversione. Lo proiettarono anche l’indomani e ci ritornai perché mi piacque molto».

Ma il suo film cult è Psyco (1960) di Alfred Hitchcock, il grande regista al quale nel 2005 ha dedicato il film per la tv ti piace Hitchcook.

«Psyco è un autentico capolavoro, bellissimo. Avrei tanto voluto farlo io. E’ uno dei più bei film fatti da Hitchcock. In quella pellicola il regista si scatena con la macchina da presa e con l’interpretazione degli attori. E’ veramente un capolavoro assoluto».

Quarant’anni fa usciva Suspiria, ritenuto dalla critica il suo capolavoro. Oggi il regista Luca Guadagnino ne ha girato una versione a metà strada tra il remake e la riscrittura, di prossima uscita nelle sale.

«Non credo che il regista, Luca Guadagnino abbia seguito tanto il film. Non lo so, mi sembra un po’ strano, mi è addirittura arrivata voce che non ci siano le streghe

C’è qualcuno, tra i vari registi, che vede come suo possibile erede?

«Ci sono registi sudcoreani, giapponesi, sudamericani, brasiliani, persino messicani che fanno un tipo di cinema che a me piace molto, ma non posso dir eche tra loro ce ne sia uno che vedo come mio erede. Spesso mi hanno detto che un mio potenziale erede potrebbe essere Winding Refn (danese, classe 1970, Drive con protagonista Ryan Gosling il suo film più noto, ndr). Non credo sia così. E gliel’ho anche detto personalmente che non è il mio erede. Lui è un regista».

Lei, invece, ha mai pensato di rifare o riadattare qualcuno dei suo film?

«Potrei riadattarne solo uno: “L’uccello dalle piume di cristallo”, il mio primo film del 1970. Penso che potrei rifarlo in un altro modo, diciamo diverso».

Alla colonna sonora collaboro il premio oscar Ennio Morricone, allora in pieno periodo di improvvisazione jazzistica. Oggi terrebbe la stessa?

«No» (ridacchia)

Perché, non le era piaciuta?

«In realtà a me quella colonna sonora era piaciuta. A mio padre, invece, non tanto perché diceva che non si capiva niente di quella composizione: preferiva le musiche melodiche, il Morricone melodico diciamo. Vi spiego: Ennio Morricone per questo film fece una colonna sonora contemporanea, improvvisata. Contemporaneameente al passaggio sullo schermo delle scene del film, il suo gruppo di musicisti improvvisava le musiche, ottenendo, così, un risultato tonale, un po’ strano, alla Arnold Schönberg. Quando poi, per scherzare, dicevo a Ennio che sembrava Schönberg  lui si arrabbiava tantissimo perché non voleva assomigliare a nessuno».

Tra il 2005 e il 2006 ha anche realizzato due film per le serie Tv americana Masters of horror, serie antologica curata da da Mick Garris.

«L’esperienza che ho fatto con Jenifer – istinto assassino prima, e Pelts, poi, è stata bellissima, perché mi hanno lasciato libero di andare avanti, di raccontare e, così facendo, sono riuscito a dare il meglio di me».

Ha un suo film che preferisce?

«Ho dato tutto me stesso per ognuno, quindi non c’è un film che preferisco. Non credo ce ne sia uno più interessante di un altro. Li amo tuitti allo stesso modo».

Nel libro autobiografico “Paura” (Einaudi, 2014) racconta che all’indomani del successo di Suspiria pensava spesso al suicidio. “La porta-finestra mi chiama come le sirene devono aver attratto Ulisse, e io ubbidiente mi avvicino: se mi getto da una simile altezza di me non rimarrà nulla“. Perché Aveva tutti ai suoi piedi: fama, soldi, donne.

«Sapete che… non lo so? Non riesco a spiegarmelo, non so perché pensassi costantemente a questa cosa. Avvertivo una specie di desiderio di sparire, non farmi più vedere, non farmi più sentire da nessuno. E’ una sensazione molto acuta. Probabilmente perché ero abbastanza felice: ero nelle condizioni migliori e soprattutto ero solo. E la solitudine è la mia grande passione, per cui mi sentivo benissimo. Per questo non so spiegare il perché di quel mio pensiero costante, forse l’eccessiva soddisfazione mi provocava una sorta di infelicità».

Lei ha anche conosciuto, ingiustamente, il carcere. Il 19 Giugno del 1985 venne arrestato e portato in una cella di isolamento nel carcere di Regina Coeli perché qualcuno le aveva fatto recapitare, dal Perù, nella sua vecchia abitazione romana in Piazza Martiri Belfiore, una lettera, indirizzata ad un certo “Signor Fabre”con dentro 4 grammi di cocaina. E’ riuscito, poi, a scoprire chi ci fosse dietro tutto questo?

«Ricordo benissimo quel giorno. No, purtroppo non sono mai riuscito a capire chi sia stato. E nemmeno la polizia è riuscita a scoprire l’autore di questo tiro mancino. Ho passato 48 ore in carcere e devo dire che, tutto sommato, è stata una situazione molto interessante. Mentre mi trovavo lì ho persino pensato che potevo fare un film su quell’esperienza carceraria perché la gente non sa che in realtà il carcere è molto diverso da come lo si racconta. Il carcere è altro. Ci sono sentimenti, nascono amicizie: vi sembrerà incredibile, ma è stata davvero un’esperienza molto istruttiva».

Il 14 giugno le è stato assegnato il Globo d’oro alla carriera. Cosa ha pensato?

«Ho subito pensato che era davvero una strana coincidenza perché il mio primo film “L’uccello dalle piume di cristallo” ricevette, nel 1970, il Globo d’oro come miglior opera prima. E adesso, a distanza di tanti anni, incredibile ma vero, ricevo di nuovo il Globo d’oro, ma stavolta alla carriera. Posso solo dire di essere un uomo fortunato perché ho sempre potuto raccontare ciò che volevo. Finché fuori ci sarà qualcuno da spaventare, potrò dirmi una persona felice».

L’hanno definita il più grande assassino del cinema italiano. Le piace questa definizione?

«Certo! Ho ammazzato così tanta gente nei miei film!»

 © Intervista pubblica su “La vita in diretta” n.7 – agosto 2017