Mario Biondi: talento e voce black

« Credo che niente sia più gratificante del pubblico »

Mario Biondi

Completo nero. Leggerezza, cordialità e un sorriso vincente. E’ Mario Biondi, la voce più soul jazz del mondo. Quarantaquattro anni, otto album all’attivo e tournée  per tutto il mondo. Originalità e riconoscibilità le sue caratteristiche. Lo incontro nel suo camerino poco prima del concerto. Ha gli occhi castani, accesi. Il genere di occhi che più che guardare, pizzicano. Le sue espressioni dicono che è felice del momento che sta vivendo.

Talento incredibile e voce black. Dopo il successo di Sun, che l’ha consacrato nell’impero dei grandi, Mario Biondi stupisce con il nuovo album Beyond.

Una passione e un talento immortalato dal tormentone mondiale This is what you are e che bene si fondono nel nuovo album, Beyond, un disco che, come dice lo stesso titolo, va oltre il soul e segna una svolta funk. Un progetto ambizioso, carico di sonorità estremamente avvolgenti, con un tuffo nel reggae e nel pop. Tredici nuove tracce dal sound moderato, con prestigiose collaborazioni di artisti del calibro di D.D.Bridgewater, Bernard Butler (ex chitarrista degli Suede) e i Dabt Kings, gruppo musicale di Brooklyn.

Perché la scelta di questo titolo, Beyond?

«Tendenzialmente l’origine era dedicata alla mia capigliatura (sorride)… poi ho pensato che Beyond potesse avere anche a che fare sicuramente con l’oltre, inteso come quella visione che serve per superare ciò che è successo prima e quindi andare oltre.

Mi parla delle nuove canzoni, è sempre romantico?

«Io sono sempre quel cantante definito da qualcuno un po’ crooner, il cantante un po’ romantico che racconta d’amore e di sogni utopistici legati all’amore. In questo progetto ci sono, però, anche altre visioni. Oltre la parte romantica, mi sono preso la licenza di parlare addirittura di money, soldi. Chiaramente è un gioco, un modo come un altro per celebrare un po’ la nostra società attuale».

Da cosa prende ispirazione quando compone le sue canzoni?

«Sicuramente l’amore è la parte fondamentale della mia vita».

Ha una famiglia molto numerosa. Come fa a conciliare la carriera con la vita privata?

«Ovviamente ci sono periodi molto più densi di lavoro che alterno a periodi riservati assolutamente alla cura della mia famiglia».

Lo scorso Natale ha deliziato il pubblico con un bel regalo di natale, l’album Mario Christmas. Farà la stessa cosa quest’anno?

«Non so. Se mi diventa la barba ancora più bianca potrei farci un pensierino… (ride). No, non credo. Natale l’abbiamo già fatto, abbiamo anche creato delle idee particolari soprattutto riguardo gli arrangiamenti e credo che quello possa rimanere un bel tributo al periodo natalizio».

Perché canta più in inglese che in italiano?

«Ecco, questa è una domanda di quelle a cui è difficile rispondere. Credo fortemente che l’Italia possa esportare progetti e internazionalità grazie a un passepartout che è la lingua inglese. Ed è grazie a questa lingua che mi sono permesso il lusso di fare concerti in inglese alla Royal Albert Hall, da solo o con il supporto di alcuni amici musicisti. Sono stato a Tokyo piuttosto che a Pechino, ho girato, se non tutto, buona parte del mondo grazie a questa chiave importante che non vuole sminuire la mia italianità, anzi, esattamente il contrario».

C’è un artista con il quale le piacerebbe collaborare?

«Artisti con i quali mi piacerebbe collaborare ce ne sono una marea. Devo dire che ho avuto la fortuna di collaborare con tutti i miei artisti preferiti. Mi viene in mente Chaka Khan, Burt Bachacar, Cheryl Porter, ma anche artisti italiani come Renato Zero, Claudio Baglioni, Pino Daniele. Posso dire di avere realizzato a pieno i miei sogni di collaborazione. Certo è che non mi dispiacerebbe adesso cantare con John Legend o Rihanna, perché rappresentano qualcosa di più particolare, un confronto con la nuova generazione».

Rito scaramantico?

«Non posso dirtelo. (ride)»

Angela Failla